Un progetto su i vuoti a perdere
(pubblicato nel settembre 2020 su https://politics-practical.blogspot.com/2020/09/un-progetto-su-i-vuoti-perdere.html)
Piccolo saggio sulla gracilità mentale e gli stati demenziali
Massimo Cacciari e forse pure Papa Francesco da lungo tempo ci invitano a metter fine al moderatismo, vecchio retaggio tutto democristiano, poco compatibile coi tempi di Coronavirus e con un necessario e radicale cambio di politiche.
E perché non in una prospettiva cristiana e meridionalista?
Perché mai il Sud non dovrebbe pensare a un grande progetto di recupero (e rilancio) dello spopolamento e dei paesi abbandonati? Ossia il 42,1 % del totale dei comuni del nostro Paese (Piemonte con 539 comuni disagiati, i 370 della Campania, i 354 della Calabria e i 301 della Sicilia).
Perché non mettere intorno a un tavolo – con Beppe Provenzano - Gianfranco Viesti, Tomaso Montanari, Vito Teti, Tonino Perna e magari pure Tito Boeri e Fabrizio Barca, chiedendo loro di verificarne la fattibilità e di procedere a un timing di programmazione? Insomma una task-force in più, e questa volta molto ma molto sensata. che prenda il toro per le corna. Non si tratta di un semplice nuovo equilibrio tra città e aree interne. E’ questione complessa, prevalentemente urbanistica e demografica, che merita uno studio approfondito.
Recuperare i vuoti a perdere
1600 piccoli comuni (tra Piemonte, Campania, Calabria e Sicilia), per un bacino di 160.000 ospiti tra i profughi richiedenti asilo?
Scrive Vito Teti: “occorre distinguere tra: a. paesi abbandonati da lungo tempo, totalmente irrecuperabili, anche da un punto di vista urbanistico; b. paesi abbandonati ancora integri (almeno in parte) dove potrebbero tornare o arrivare degli abitanti; c. paesi in spopolamento e con pochi abitanti. d. paesi che soffrono una crisi demografica e di spopolamento dove però restano e resistono abitanti in un numero significativo”. Per i paesi a. si possono ipotizzare: percorsi identitari, storici, di memoria e anche turistici di cui si facciano carico i comuni entro cui le rovine insistono. D’altra parte nei paesi abbandonati, tra le rovine, si assiste a pellegrinaggi di ritorno, a feste e riti nei luoghi degli antenati e dei padri e delle memorie, a viaggi di memoria che segnalano anche insofferenza per i “non luoghi” in cui si abita e desiderio di “costruire”, comunque, nuove forme dell’abitare.
Per i paesi b. si possono tentare recuperi o forme di ripopolamento, con la consapevolezza che non è possibile ripristinare il passato, uscendo da ogni retorica di improbabili e improponibili ritorni a un buon tempo antico, nell’impossibilità di cancellare processi erosivi e sconvolgimenti irreversibili.
Per il caso c., a dispetto di ogni calcolo economicistico e di logiche produttivistiche, si devono riaffermare i diritti e i doveri di ogni abitante, anche ultimo, che è il custode di memorie.
Per il caso d. vanno avviate nuove scelte e nuove pratiche economiche, sociali, produttive in grado di arrestare il declino e di mostrare che “piccolo” è abitabile e vivibile. Si possono sperimentare pratiche di inclusione e di accoglienza”. E ancora saremmo sulla soglia del progetto, quando i migranti bussano alle nostre coste: occorre accelerare, prendere una decisione e sbrigarsi.
Come non averci pensato prima! Ripensare ai migranti in una prospettiva civile, umanitaria ma non esente da una ratio economica prim'ancora che etica, meridionalista e "paesologica", oltre che demografica, di accoglienza, tutela e valorizzazione dei "vuoti a perdere". Non sono forse questi i nostri “borghi in movimento”, abbandonati soprattutto se in collina, di cui cianciava la nostra Sottosegretaria ai Beni culturali (calabrese come noi)?
Dicono i parlamentari Brescia e Baldino - di recente improvvisatisi statisti - che "la revisione dei decreti sicurezza non dovrà essere un’operazione di cancellazione del passato, ma dovrà essere utile per costruire un sistema migliore per il futuro, per governare un fenomeno che rimane globale e su cui serve una forte risposta europea”. E allora quale migliore occasione di un pezzetto di Recovery Fund?
Fino a quando dovremo rinviare qualsiasi cambio di passo, rispetto all’emulazione trash dell’agenda salviniana, qualsiasi decisione importante (fiducia nell'Europa e nella finanza europea, ruolo dell'accoglienza e dell'ospitalità per tunisini, siriani, libici e gli altri profughi che necessariamente scappano dalla guerra o comunque da altre situazioni insostenibili). Per quanto tempo ancora Di Maio si sentirà libero di emulare la Giorgia donna-madre-italiana-etc. che tuonava per l’affondamento delle navi Ong oggi nella ridicola variante del gommone tunisino? Per quanto tempo dovremo foraggiare i trafficanti e carcerieri libici invece di incoraggiare lo sviluppo dei tanti a noi vicini, prostrati dalla carestia, dalle guerre, dalla sete e dal virus? Sarà che istintivamente ci viene un ribaltamento di paradigma, da minus a plus, sul calco dei post-it: la colla "debole", la colla che non incollava o che "incollava poco", divenuta in poco tempo un successo commerciale della 3M. Basterebbe solo questo capovolgimento di paradigma, per passare dai fantasmi e dalle miopie sovraniste e fascio-leghiste a una politica di accoglienza "conveniente per tutti", soprattutto per gli italiani. Da quanto tempo lo sta gridando Tito Boeri, ex presidente dell'INPS?
Per l'Italia e per l'Europa. Invece di pietire il co-interessamento europeo (“da soli non ci si riesce”), occorre decidersi a fare qualcosa per l’Europa oltre che con l’Europa. Con l’effetto accessorio di mettere a tacere pregiudizi e ritrosie dei cosiddetti Paesi frugali (quelli che campano sulla nostra evasione/elusione fiscale) e del gruppo di Visegràd.
Perché mai noi non dovremmo pensare, in una prospettiva meridionalista che guarda a un Mediterraneo in subbuglio, a un grande progetto di recupero (e rilancio) dello spopolamento e dei paesi abbandonati, ossia circa 1600 piccoli comuni (tra Piemonte, Campania, Calabria e Sicilia), per un bacino di 160.000 ospiti tra i profughi richiedenti asilo? Perché lasciarli insistere solo su Lampedusa e sugli attracchi più facilmente a portata di barca della Sicilia o della costa calabra? Perché non programmarne l’ingresso come forza-lavoro, come operai, braccianti, tecnici, badanti, artigiani? Comunque persone in difficoltà, richieste si spera transitoriamente di non bighellonare ma di dare un contributo al paese ospitante. Dare senso a un salvataggio in mare, rilanciando l’etica che muove oggi Bansky e pure Gherardo Colombo e Friends al fine di non lasciarli affogare. Insomma, istituzionalizzando l’idea di corridoio umanitario e di integrazione come obiettivo non accessorio o che rientra dalla finestra come un dono inaspettato. Fosse solo per il tempo di un soggiorno in un bed and breakfast e non di una deportazione fine-pena-mai. Come per i post-it, forti della nostra storia di emigrazioni, invito a scollarsi da un momento di difficoltà transitoria, per poi decidere assieme il passaggio da affido a adozione. In ogni caso, lo dicevamo all’inizio, non si tratta di un’idea ribelle. Lo è diventata solo perché abbiamo progressivamente dimenticato le battaglie sull’acqua pubblica, sulle energie alternative, sulla civiltà; perché abbiamo coniato nuovi orribili sintagmi quali “taxi del mare” o il “partito di Bibbiano”, dimenticando i beni pubblici di Rodotà e la lezione misericordiosa di Zanotelli e dei frati comboniani, di Gino Strada e pure quella di don Andrea Gallo.
Caro Di Maio, hai voglia a chiedere scusa.
(Il titolo rinvia a uno studio di E. de Greff sulle ipofrenie, ripreso da Eugène Minkowski in “Il tempo vissuto”)
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