La brutta fine del M5S





Perché mai, se non per un sintomo, il M5S ad un certo momento diventa più caccasecca di Salvini, fanno finta di credere al rapporto - mai dimostrato - tra ONG e scafisti, un cretino molto poco garantista comincia a riferirsi a Radio Radicale come "Radio Soros", appropriandosi delle dicerie e delle semplificazioni, insomma delle corbellerie di Maurizio Belpietro, Casa Pound e Altaforte? A guardare con sospetto un bravo cristiano come Mimmo Lucano, una persona competente come Gregorio De Falco o una sedicenne volenterosa come Greta Thunberg?
Cosa li ha indotti a tale spasmodica ricerca di perfezionare l'ubbidienza (lo annotava Jacques Lacan in Scilicet), oltretutto non richiesta, spingendoli a scavalcare a destra la Lega di Salvini in un insensato riposizionamento strategico? A lungo si è detto né destra né sinistra, frutto di un narcisismo post-ideologico (ovviamente ignorantissimo e ultra-reazionario), mentre nel frattempo Grillo, e per fortuna, campava con l'idea dell'argine contro il nazionalismo e il fascismo. Ecco, quell'argine, comunque presente nei vaffa, a contrasto di opere faraoniche e inutili, in difesa dell'acqua pubblica, del consumo del territorio e di scelte energetiche sostenibili, simbolicamente presenti nelle candidature di Stefano Rodotà e Gino Strada alle quirinarie, nell'amicizia con Alex Zanotelli e Don Andrea Gallo, quell'argine quando è crollato? Credo di saperlo, è lecito saperlo. Ma questo è un altro lungo discorso.


Massimo Celani

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“Il mio mestiere di psicoanalista – scrive Massimo Recalcati più o meno ad aprile del 2019 – mi impone una domanda. Non quella consueta che da più parti viene rivolta a Di Maio, ovvero: come può un soggetto che non ha maturato nella sua vita competenze specifiche su nulla, che non ha mai lavorato in una istituzione, che non ha mai avuto incarichi di governo (di una azienda, di una città, di una qualunque cosa pubblica) essere candidato alla guida di un Paese di sessanta milioni di abitanti? La mia domanda è un’altra e tocca un piano più pulsionale. Quale assenza di giudizio critico su se stessi comporta l’aver accettato questa candidatura? Lo sgomento di fronte all’ipotesi di Di Maio premier (di "capopolitico", poi di ministro degli esteri) non è per me tanto relativo alla sua incompetenza tecnica, quanto al gesto personalissimo dell’aver accettato questa investitura. Quanti accetterebbero un incarico di questa rilevanza senza avere la più pallida idea di cosa significhi governare la cosa pubblica? È questa assenza di consapevolezza dei propri limiti che fa davvero tremare i polsi. È il polo chiaramente maniacale o, se si preferisce, puramente adolescenziale del M5S. Un fantasma di onnipotenza e di purezza totalmente sganciato dalla realtà". 
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Da dove viene l’impulso a confessare? Uno commette un crimine, tradisce la sua fanciulla, che non è propriamente un crimine, c’è di peggio nella vita, e avverte l’impulso a confessare, qui il discorso ci porterebbe a fianco di ciò che Freud racconta del senso di colpa in Criminali per senso di colpa, però a questo punto abbiamo degli elementi per dire qualche cosa di più di ciò che dice Freud, e cioè del criminale che confessa il crimine per sbarazzarsi del senso di colpa o si inventa un crimine da confessare per sbarazzarsi di un senso di colpa connesso con qualcosa che non ha fatto, ma che aveva intenzione di fare. Spesso si riscontra nelle madri questo senso di colpa per qualche cosa che non si è fatto propriamente, ma si è desiderato fare.
 (...) la verità o più propriamente il “vero” sarebbe il caso di dire in queste occasioni, la necessità di dire la verità, l’impulso a confessare viene dalla necessità di adempiere a ciò che il linguaggio costringe a fare, ciò che è vero è ciò che consente la prosecuzione del discorso, della parola, del racconto, il falso è ciò che lo ferma. Dire il falso significa che si instaura o si avanza una proposizione che dice di proseguire in una certa direzione ma di fatto non può proseguire in quella direzione, ci si trova cioè in una condizione tale per cui ciò che dà fastidio alla persona, che la rende dispiaciuta e quindi pronta alla confessione non è il senso di colpa, che è un’invenzione di Freud, ma è il principio di non contraddizione. 
(...) Il principio di non contraddizione come sappiamo è strutturale, fa funzionare il linguaggio, è uno degli elementi che lo fanno funzionare, strutturalmente, senza principio di non contraddizione il linguaggio si arresta perché a quel punto un elemento è anche il suo contrario quindi non può essere utilizzato, è per questo che si arresta, non è che ci sia un principio morale, ma non è utilizzabile per proseguire, non è utilizzabile come elemento su cui appoggiare il piede per compiere il passo successivo, per usare un’allegoria.
(...)
È qualcosa di differente della dimenticanza, l’isteria dimentica, il discorso paranoico non proprio, lo cancella, e cioè non è stato lui a dirlo, non l’ha detto, e se per caso l’ha detto è perché c’erano altre condizioni, erano in un modo differente. Messo alle strette si chiude letteralmente, cioè non prosegue, non parla più piuttosto di ammettere di avere detto poc’anzi il contrario di quello che sta dicendo adesso. Questa prerogativa del discorso paranoico è emblematica, cioè lì la contraddizione non può essere risolta, non può ammettere di dire il contrario di quello che ha detto prima e quindi c’è il blocco totale, non può ammettere di mentire, quindi si blocca il sistema. Questo è il caso più evidente, rispetto alla nosografia psicanalitica, dell’impossibilità di violare il principio di non contraddizione, chiaramente c’è in tutti i discorsi ma il discorso paranoico lo rappresenta continuamente.
(...) 
L’impulso a confessare di cui parla Theodor Reik è la necessità del discorso e quindi del linguaggio di proseguire, e cioè di riaprire quella direzione che è stata chiusa e che invece può essere aperta.

Luciano Faioni, 8-8-2012

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Il piacere di obbedire è parte essenziale della logica del Potere e della meccanica del dominio.Chi obbedisce, in certo qual modo, prova una sorta di voluttà profonda nel servire che non è facile da spiegare soltanto con l’uso dei meccanismi della coercizione violenta e con l’uso della forza.Scegliere di essere liberi, invece, non solo è assai più difficile ma non produce il godimento provato dall’attrazione psicologica nei confronti dell’asservimento volontario.(Fabio Ciaramelli – Ugo Maria Ulivieri, Disposti all'ubbidienza, Il fascino dell’obbedienza. Servitù volontaria e società depressa, Milano, Mimesis, 2013)


Discorso sulla servitù volontaria. Chi non si sente personalmente tirato in ballo, ingiuriato, accusato dalle parole di Étienne de La Boétie, non ha letto bene le sue pagine o ha scelto di non pagare dazio.
La sua invettiva non lascia infatti margini interpretativi di comodo all'indulgenza auto-assolutoria: «O popoli insensati, poveri e infelici, nazioni tenacemente persistenti nel vostro male e incapaci di vedere il vostro bene! […] Colui che vi domina ha forse un potere su di voi che non sia il vostro? Come oserebbe attaccarvi, se voi stessi non foste d'accordo?» 
(...) 
È soprattutto sui due piani prefigurati dal termine «depressione» - quello psichico e quello socioeconomico - che la servitù volontaria può a loro avviso parlare alla nostra contemporaneità triste. Patologie depressive e sudditanza politica si rivelano fenomeni affini: fughe dolorose ma rassicuranti dall'azzardo e dall'indeterminatezza di ogni vita libera e aperta all'alterità. Analogamente, sul piano economico, è urgente defatalizzare l'«inevitabilità» della catastrofe economica in atto, smascherando il lato complice del nostro sentirci annientati e immobilizzati: il diffuso sentimento di «impotenza è un modo di interpretare la realtà asservendosi a essa»; un modo apparentemente insensato, ma che in realtà esonera dal dover immaginare un mondo altro.
Manca forse un solo passo all'attualizzazione del testo La Boétie: ed è raffrontare ai gesti dei suoi servi volontari («pali del ladrone che li saccheggia, complici dell'assassino che li uccide e traditori di sé stessi») le nostre infinite pratiche di esclusione e marginalizzazione dei più deboli; violenza domestica, bullismo, stalking, pogrom, piccole persecuzioni quotidiane: versioni moderne di quei meccanismi vittimario-sacrificali su cui da millenni si regge il precario ordine sociale delle collettività umana.
Lungi, con questo, dal reintrodurre linee di demarcazione troppo nette tra buoni e cattivi: ma anzi vedendo in quei gesti il complessivo e assurdo rivolgersi della società contro se stessa. Coglieremmo allora appieno «la verità che – secondo gli autori – siamo tutti convocati ad ascoltare» da La Boétie: e cioè che non esiste potere al di fuori del sostegno attivo dei dominati, ma che - proprio per questo - «per essere liberi basta solo volerlo».
Collettivo La Boétie

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Nota sull'intamarrimento di Salvini
Scusa Grillo ma chi scrive è calabrese, tu sei genovese e per te è un mondo lontano, ne sai qualcosa per sentito dire. Dalle mie parti invece abbiamo chi professionalmente si occupa dei tamarri "con la corchia", vale a dire con la scorza, molti studi scientifici sull'ispessimento e la elastometria del parenchima e persino una macchina di nuova generazione che misura la stiffness, l'elasticità e la fibrosi del tessuto tamarro. Certamente Salvini è ipertamarro, perennemente sudato e sovrappeso, molto dipende da ciò che mangia, dalla Nutella e dalle arancine fritte nell'olio dei ferry-boat, ma non ci voleva la zingara, il fibroscan o un particolare sforzo diagnostico per stabilirlo. E poi, che altro? Ti è forse rimasto in gola qualche altro aggettivo più persuasivo? E comunque, non sarebbe il caso di chiedersi quanto sono "tamarri" e per lo più inadeguati e servi sciocchi, stupido come il meccanismo che recluta i vostri portavoce, barbaro come il dispositivo che non premia lo spirito critico e l'intelligenza. Fanculo Rousseau, il capopolitico, il portavoce, Maria Vittoria Baldino (quella che non trova sessiste le uscite di Salvini), Vito Crimi e chilla banda 'e sciemme ca nun sono buoni manco a truva' 'u cazzo int 'a mutanda. 






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